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Tuesday, October 7, 2014

Malinconia d'ottobre

Avrei dovuto scrivere una lettera dall'America alla fine della primavera, quando impacchettavo in grossi scatoloni Depot gli ultimi quattro anni della mia vita. Ma la primavera vola via veloce e non avevo il tempo per fermarmi sui ricordi. Dovevo fare in fretta. Impacchettarli e riporli in uno storage per l'estate. Dovevo partire, ai ricordi, al tempo che vola a volte troppo in fretta, alla paura, alla nostalgia che  in un lampo ti trafigge il cuore avrei pensato a settembre. Forse.

Avrei dovuto scrivere una lettera da Zurigo. Ci sono tornata dopo quattro anni. Tutto era cambiato da quell'agosto di quattro anni fa. Le persone. I luoghi. Persino le paure. Ed eccole ancora le ombre dei ricordi. Il tempo che maledettamente passa troppo in fretta. Il passato e il futuro. Ma anche qui non ho tempo. Devo fare la valigia. Devo partire. Ciao Zurigo. E' stato bello rivederti. Grazie per il cielo azzurrissimo: hai fatto sentire azzurra e chiara anche la mia anima. A volte e' bello quando gli anni passano e tutto cambia. Ciao. Grazie. A presto.


Avrei dovuto scrivere una lettera da Napoli. Della corsa tra i vicoli della citta' per ritrovare un bar visitato a gennaio. Cercavo il signor Gennaro che mi  aveva offerto una sfogliatella. Avevamo scommesso su qualche vittoria del Napoli. L'avevo lasciato con la promessa che sarei tornata. Che gli avrei offerto io la sfogliatella per festeggiare la bella stagione della squadra. Ed era stata una stagione strepitosa davvero: le vittorie con grandi squadre, i gol, la coppa Italia. Ho camminato tra i vicoletti: quale era il bar? Qui quasi tutti vendono sfoglie e hanno una foto di Maradona e San Gennaro. E questo? Forse no. Oddio, non lo trovo. Ecco, e' questo. E il signor Gennaro? Lui no nc'e'. Non c'e' piu'. Ho comprato la mia sfogliatella. L'ho messa in un sacchetto insieme alle lacrime. Ho camminato veloce tra le strade strette e l'odore di bucato. E via, via, piu' veloce per scappare dalla morsa della malinconia.

E poi? Poi avrei dovuto scrivere una lettera da Roma. La mia citta'. La piu' cara. La piu' bella. Lei con il suo caldo afoso e i suoi tramonti rossi. Mi piace tornare nei luoghi che ho vissuto. Viale Eritrea. Il cornetto di Romoli. Ma non e' poi cosi' buono. E non ricordavo il bar cosi' sporco. Piu' avanti. Viale Libia. Non c'e' piu' il bar Cioccolati. Oh, c'e' un nuovo negozio. Mi trovo sotto la mia vecchia casa. Il portiere non mi riconosce. Quanti anni sono passati? Quanto in fretta? Non ci penso. Devo andare. Non mi soffermo su di loro, ma i ricordi mi inseguono. Piano. In silenzio. Aspettando che mi giri verso di loro.

Avrei dovuto scrivere una lettera da Parigi. Ma come si fa a scrivere del cielo che ti innamora anche quando e' grigio, i colori nonostante la pioggia, i profumi, gli incontri che ti rimangono dentro? Chissa' quante persone come me avra' visto passare la Senna. Fermarsi sulle sue rive, guardare lo scorrere dell'acqua, alzare lo sguardo e vedere la punta della Torre Eiffel. Anche qui, non ho tempo per i ricordi e il passato. Prendo gli odori. Le immagini e i colori. Le persone e le parole. Li impacchetto e li porto via con me. Nel cuore.

Avrei dovuto scrivere una lettera da Londra. Cosa si prova a rivedere una persona carissima dopo due anni? Gia', come descrivere l'emozione, la felicita' di un abbraccio, di una conversazione reale davanti a un caffe'? Una colazione insieme e un tuffo nel passato. A quattro anni fa, quando si faceva colazione insieme quasi ogni giorno. Ma anche oggi non ho tempo per la nostalgia e il passato. Mi aspettano il London Bridge e Shoreditch con i sui graffiti. Ciao amico caro. Ciao Londra. Ci vediamo presto.

Avrei dovuto scrivere una lettera da casa. Dalla mia camera. C'e' ancora il poster del Titanic: quanto tempo e' passato? Mi chiamano. Devo salutare tutti. Devo partire. Ancora una volta non ho tempo per il passato e  ricordi. Vado via.

Scrivo dall'America. Dal mio nuovo appartamento. Un piccolo studio all'ultimo piano di un palazzo rosso. La sera vedo tramontare il sole e il cielo diventare stellato. I profili delle case scompaiono all'imbrunire.  E ora di aprire gli scatoloni e mettere tutto in ordine. Forse no. Aspetto ancora un po'. Voglio godermi il disordine. Le emozioni arruffate ed impolverate. Con la canzone che ha postato un mio amico: ""La fine dell' estate e delle chiacchiere nel bar e delle occhiate dentro il bar
Il profumo dei capelli suoi mamma che fitta allo stomaco non riesco a muovermi bene
La mia malinconia è tutta colpa tua
La mia malinconia è tutta colpa tua
È solo tua la colpa è tutta tua e di qualche film anni 80'
Via via questo settembre voglio tornare a adorarti là mentre mordevi il cornetto
La tua bici rossa atala che pedalavi solo a piedi scalzi con le dita piene di sabbia
La mia malinconia è tutta colpa tua
La mia malinconia è tutta colpa tua
È solo tua la colpa è tutta tua e di qualche film anni 80'"

Avrei dovuto pubblicare qualche foto. Invece lascio un'immagine. Una stanza in disordine. Un paio di cuffie e una canzone. Luoghi e persone. Fotogrammi ora sfocati ora lucidi la affollano. Mi sono girata. Ballo tra i ricordi. "La mia malinconia e' tutta colpa tua."

Thursday, April 24, 2014

... e la primavera da Washington DC!

A Washington DC ci sono arrivata dopo un lungo viaggio. Sono arrivata in autobus fino a NY, Port Authority St. Di li' ho preso un treno fino ad Harrisburg PA. Non pensereste mai che e' la capitale dello Stato della Pennsylvania, cosi' piccola e tranquilla. Il giorno dopo sono partita in autobus per Dc, con una breve sosta a Baltimore (che mi ha fatto una pessima impressione). Il distretto di Washington e' ai margini dello Stato del Maryland e della Virginia. Il  primo sentimento che ho provato in citta' e' stata una grande delusione: questa citta' cosi' piccola, cosi' grigia, e' davvero la capitale degli Stati Uniti? E quella casetta con il prato verde e' la Casa Bianca?, mi sono chiesta! Non so perche', ma immaginavo la capitale degli Stati uniti maestosa e ricca. Chi va a Roma non ne rimane deluso: quella citta', con le sue costruzioni imponenti, la sua storia, la sua cultura ti fa sentire in una capitale. Lo stessa atmosfera, se non di piu', si sente a Londra o Parigi. Washington invece non ti conquista subito, bisogna scoprirla a poco a poco. L'elegante quartiere di George Town e' su una collina, oltre la riva del fiume. Qui si trova l'omonima universita', una delle piu' prestigiose d'America. Il quartiere ha costruzioni in mattoni rossi e i caffe' e i ristoranti sono pieni di studenti. E' bello passeggiare per George Town. Ed e' qui che Washington inizia a conquistarti. Bisogna camminare con calma, godersi il cielo blu e il brusio degli studenti, lasciarsi andare alla vivacita' di Dupont Circle, assaggiare la cucina del Sud, perdersi in uno dei tanti musei (tutti gratuiti!) per sentirsi parte di questa citta'. La passeggiata pie' bella e' al National Mall, l'immenso parco che in questo periodo della fioritura di ciliegi si tinge di rosa. Si cammina lungo il fiume tra il profumo di petali rosa, all'ombra dei monumenti che hanno fatto la storia degli Stati Uniti. Al tramonto le persone si riuniscono sulla riva con una coperta e un cesto da picnic. Molti sono in kimono; comincia il festival del cherry blossom con un grande spettacolo di fuochi d'artificio. Calata la notte, mille lanterne volanti illuminano il cielo in uno spettacolare incontro di culture.






Sunday, March 30, 2014

I colori della primavera dal Giappone

Oggi ospitiamo il racconto di Luca P., studente di scienze politiche e studioso appassionato del Giappone. Tra ricordi ed immagini, Luca ci fa vivere la magia della primavera giapponese.

Chi di noi non ha mai visto foto dei fiori di ciliegio che con la loro bellezza naturale contrastano con il panorama super moderno e urbanizzato di Tokyo? Cosa rappresenta nella cultura giapponese moderna la primavera e la fioritura dei sakura?
Nel mio soggiorno in Giappone della durata di un anno ho assistito al susseguirsi delle stagioni e ho notato con molto interesse fenomeni culturali molto diversi dai nostri, legati alla stagione primaverile.
Per prima cosa si deve sottolineare che in Giappone a differenza di molti paesi occidentali, il calendario accademico e lavorativo è differente. Gennaio non rappresenta la fine di quello che noi definiremmo il primo semestre, ma il suo termine.
Da fine gennaio gli studenti iniziano a godere di molta libertà in attesa dell’arrivo di aprile e del nuovo anno scolastico spesso dedicandosi a lavori part time. Aprile, inoltre, rappresenta anche il periodo delle nuove assunzioni nelle aziende (in giapponese nyusya).
Dall’inizio di febbraio, che in Giappone è ancora molto freddo per gli standard di un italiano e specialmente del sud, non si sente parlare di altro che della fioritura dei fiori di ciliegio che rappresentano un momento di unione sociale straordinario. Tutto il periodo primaverile è costellato infatti di eventi mondani a cui i giapponesi non vogliono e spesso non possono sottrarsi quali le bevute con i colleghi, sia per i lavoratori part time che per gli impiegati delle più differenti aziende. La primavera, infatti, con il periodo delle lauree di solito concentrato a marzo è costellato da eventi per salutare gli amici che una volta terminati gli studi si sposteranno nelle diverse zone del paese per motivi lavorativi.
La fioritura dei ciliegi con la loro bellezza e caducità rappresenta l’anima dell’estetica giapponese; la bellezza è tale perché svanisce in fretta ed è estremamente legata al mondo naturale proprio come la vita umana. Una cosa di cui sono rimasto molto sorpreso è la grande attenzione data dai media all’evento con previsioni aggiornate sui giorni in cui è previsto lo sbocciare dei ciliegi nelle varie città lungo quella che viene definita “la linea della fioritura”. In questo periodo è tradizione l’organizzare gite nei parchi cittadini e sostare sotto i ciliegi in fiore per ammirare la fioritura e godere della compagnia di amici e familiari, mangiando e bevendo. Naturalmente l’Hanami, così viene definito l’andare a vedere la fioritura, rappresenta un grande fattore culturale e di collante sociale, in un paese come il Giappone dove i rapporti interpersonali sono molto difficili e le persone troppo impegnate per potersi dedicare con costanza alla costruzione di reti di rapporti stretti.
Io mi trovavo all’epoca in visita a Tokyo ed ho ammirato il tutto sia dallo stupendo parco di Yoyogi sia dal santuario di Yasukuni (famoso per le dispute per questioni storiche con i vicini del Giappone) che nasconde al suo interno un meraviglioso giardino. I giapponesi vanno letteralmente pazzi per questa stagione ed è interessante ma non deve sorprendere come anche le multinazionali come gli “Sturbucks” e  “Mr donuts” si adeguino ai gusti locali, offrendo al pubblico vasta varietà di cibi e bevande al gusto di ciliegia (sakura special edition).
Per concludere il Giappone è un paese ancora molto legato alle tradizioni e allo scorrere delle stagioni, anche nel susseguirsi frenetico delle vite nelle metropoli. Senza ombra di dubbio la primavera rappresenta quella che più di ogni altra può rappresentare la mentalità giapponese.







Wednesday, March 26, 2014

Scatti dalla Florida

E' lo "spring break" letteralmente "pausa primaverile": le universita' chiudono per una settimana e gli studenti volano verso mete calde, come la California, la Florida o le isole caraibiche. Infatti, a dispetto della primavera, a Boston ci sono otto gradi sottozero! Con degli amici decidiamo di partire alla scoperta della Florida. Dopo tre ore e mezzo di volo atterriamo ad Orlando, dove il cielo e' azzurrissimo e il termometro sfiora i trentacinque gradi! E' tutto diverso, persino l'aeroporto. Il Logan International Airport e' ordinatissimo e tranquillo, quello di Orlando e' immenso e caotico e allo stesso tempo lento. La gente e' rilassata e si prende i suoi tempi. Le valigie impiegano un'infinita' ad arrivare, le indicazioni non sono chiare e  nessuno ha una risposta sicura. Mi trovo a mio agio, mi sembra di essere in una grande Napoli e tutta quella confusione non mi innervosisce. Prendiamo un taxi per raggiungere la nostra pensione. E' in realta' una macchina nera enorme. Per ben quarantacinque minuti percorriamo l'autostrada senza incrociare un'abitazione, una cittadina, un bar, nulla. Solo deserto, palme e grandi resort. Arrivati a destinazione posiamo il nostro piccolo bagaglio e chiediamo al front desk dove sia il centro di Orlando. Il ragazzo ci guarda perplesso. Ci osserva e poi ci chiede da dove veniamo. Rispondiamo che veniamo da Boston e lui: "ah, dal freddo Nord." Poi, dopo altri cinque minuti, prende una cartina e scrive: "qui siamo noi. Qui c'e' il primo parco di divertimento.  Qui il secondo. Qui il terzo, tutto dedicato alle attivita' acquatiche. Qui ci sono gli Universal Studios. Qui e' Cocoa Beach se volete andare al mare, E' vicino: circa tre ore di macchina.. Questi sono gli orari delle navette per i parchi. Enjoy your day!" Basiti andiamo via: non ci sono strade percorribili a piedi e la citta' e' un insieme di parchi di divertimento nel deserto. Attraversiamo il giardino della pensione. Nel centro del cortile ci sono delle piscine. Uomini e bambini obesi si divertono tra un tuffo e una manciata di patatine e ketchup. Quel trangugiare hamburger a bordo piscina fa una certa impressione. Ci sono molte famiglie e tantissimi anziani. Scopriamo che molti americani in pensione decidono di trasferirsi in Florida per il clima e lo stile di vita piu' rilassato. Andiamo alla scoperta dei primi parchi: ci sono Topolini, Paperini, Sirene e Principesse in dimensioni gigantesche. Balli e musiche dei cartoni Disney, fuochi di artificio, studios che fanno vivere in tre D il salto di Spiderman da un grattacielo o il brivido di un tornado. E poi tantissime montagne russe. Decidiamo di provare la "green roller coaster". Quando scopriamo che e' detta "green" in onore di Hulk e' troppo tardi per tornare indietro: un carrellino precario ci porta su, su, su e ancora su. Mi sembra un ascensore per il cielo. E poi, all'improvviso, ecco che va giu' e su, e di nuovo giu' mentre il mondo si rovescia il cuore si ritrova ora allo stomaco ora ai calzini. Dopo quel giro infernale mettiamo una bella croce su tutte le montagne russe e le attrazioni simili e andiamo a vedere i vari spettacoli e musical offerti nei parchi. Trascorriamo la giornata cosi': tra costruzioni colorate e pupazzi parlanti enormi. Di sera, sfiniti ci buttiamo sul divano della hall. Questa citta' di plastica senza anima ci ha gia' stancato..
































Thursday, March 20, 2014

I sogni sulla punta dei piedi

Lo dico subito, sono juventina. Mio padre non e' un gran tifoso, e' un patito di motori e guarda soprattutto la Formula 1, che ormai appassiona tutti in famiglia. La tifosa e' lei, mamma. Ed e' Juventina. I ricordi delle mie partite risalgono ai mondiali di calcio di USA 94'. Non dimentichero' mai la sconfitta con l'Irlanda, arrivare agli ottavi per il rotto della cuffia, vedersi con le valigie in mano fuori dal mondiale. Ma eccolo, LUI, il calciatore piu' atteso e discusso del mondiale. Osannato e criticato, che con una sua magia rimette l'Italia in gioco. LUI e' Roberto Baggio. Trascina una squadra che gioca con il cuore nelle scarpe. L'allenatore Sacchi ingabbia l'Italia in schemi che non sempre funzionano. Un giocatore italiano viene espulso, gli schemi saltano e il cuore fa il resto. Guidati dal "divin codino," i compagni mettono l'anima in campo e volano alto. L'immagine piu' bella, quella che non dimentichero' mai, e' l'abbraccio tra Baggio e Signori dopo un'azione spettacolare che porta l'Italia in vantaggio. Conquistiamo la finale, il mondiale pero' lo vince il Brasile ai calci di rigore. E proprio LUI, Baggio, sbagliera' il tiro finale. Un tiro che  segnera' (a torto) per sempre la sua carriera. Io divento juventina per la disperazione del nonno che oltre a non avere nipoti maschi ha una nipotina juventina! Baggio lascera' la Juve tra mille polemiche e al suo posto conquistera' il numero 10 Alessandro Del Piero. Ma io restero' per sempre una tifosa di Roberto Baggio. Le sue imprese nel Brescia mi ricordavano le partite del cuore di Holly e Benji. "Holly e Benji?", state forse ripetendo stupiti e un po' sarcastici. Si', lo ripeto, le partite di Holly e Benji. Perche' le prime partite che ho visto sono state quelle della New Team. Partite lunghissime, in cui tutti si facevano male, in cui Julian Ross ci metteva il cuore (ma sul serio!), perche' il calcio era soprattutto una passione per cui valeva la pena fare ogni sacrificio. Anche se costoso e doloroso. Quel cartone animato esaltava i sogni giocati sulla punta dei piedi, dove per realizzarli si era disposti a tutto. Quelle partite di cuore dell'Italia in USA 94', mi avevano fatto vedere in una dimensione reale i sogni giocati li', su un prato verde e sotto il cielo azzurro dell'America. Allora non sapevo delle scommesse di Signori e di Buffon, ne' delle partite truccate della Juventus. Ignoravo i signori del calcio, il giro di soldi e la vanita'. Per me c'era solo il palleggiare dei sogni. Ed ecco il mio primo sogno: diventare una giornalista sportiva per raccontare quelle emozioni di ginocchia sbucciate e scarpette consumate. Crescendo i miei sogni hanno preso una forma diversa, ma l'amore per il calcio - quello che si gioca col cuore - non e' mai svanito. Allora io che non ho mai visto il Grande Napoli di Diego Armando Maradona, voglio dire grazie al Napoli di oggi. Un Napoli che e' cresciuto piano piano, che ha risalito la classifica, che e' ritornato in Europa e che io ho iniziato a seguire per caso (e questo merita un altro post). Si', grazie a questo Napoli senza grandi infrastrutture, senza tanti soldi, senza tanti nomi blasonati, che mi ha fatto vedere di nuovo i sogni made in Italy, anzi, made in Sud. In una lettera di qualche anno fa, indirizzata ai giovani, Roberto Baggio ha detto: "Vi assicuro, [che sacrificio] non è una brutta parola. Il sacrificio è l’essenza della vita, la porta per capirne il significato (...) Non credete a ciò che arriva senza sacrificio. Non fidatevi, è un’illusione. Lo sforzo e il duro lavoro costruiscono un ponte tra i sogni e la realtà." Ognuno di noi gioca partite per realizzare i propri sogni in un campo piu' grande, che e' quello della vita. I sogni piu' belli per me sono quelli piu' difficili, piu' agognati, piu' sudati e piu' lunghi da realizzare. Allora grazie Napoli. E' bello vedere i sogni di un'intera' citta' rincorrendo un pallone.

Wednesday, March 12, 2014

"Concrete jungle where dreams are made of"

"Concrete jungle where dreams are made of"cantano Jazy Z e Alicia Keys in Empire State of Mind. Ed e' proprio cosi' che New York si presenta a chi la visita per la prima volta: "un giungla di cemento" dove tutto e' possibile. Il modo piu' economico per raggiungere  la City dalle citta' del New England e' l'autobus. Una viaggio tra le quattro e le sei ore a seconda dalla citta' di partenza. In un paese immenso come gli Stati Uniti, dove un viaggio da una costa all'altra dura quanto un volo Boston-Londra, una citta' a cinque ore di autobus e' considerata vicina. La linea ferroviara  degli Stati Uniti e' limitata a causa delle grandi distanze e i treni sono costosissimi. La gente quindi si sposta in macchina, autobus o in aereo. Si puo' guidare per ore su queste strade infinite, senza incontrare un'abitazione o una citta'. Non ci sono le stazioni di servizio come sulle nostre autostrade e gli americani trovano molto buffi questi "bar" lungo le vie italiane. Mi piace molto guidare qui. E' come sentire la liberta' che mi accarezza il viso, mentre guido sull' I95 con il finestrino dell'auto aperto e una canzone in sottofondo. Per chi viaggia in autobus, si arriva a China Town o nel cuore di Manhattan, a Port Authority Station, di fronte alla sede storica del New York Times. Vi accorgete subito se una persona non e' di NY. Non per la reflex al collo, ma perche' all'uscita della stazione istintivamente il suo sguardo sale verso l'alto, cercando di seguire la linea lunghissima dei grattacieli che sovrastano la citta'. E dopo aver fissato a lungo quelle strutture imponenti, che quasi sembrano incutere timore e schiacciarti nella loro maestosita', si sospira un "wow" smorzato, attoniti dallo stupore di quello spettacolo. Cosa fa un turista a NY? La scelta e' ampia e molto dipende dai gusti personali. La prima volta che sono stata a NY mi sono trovata catapultata a Times Square, a pochi isolati da Port Authority Station. Avevo le vertigini. Non riuscivo a seguire il flusso delle persone che attraversavano quel crocevia di luci, cartelloni pubblicitari, venditori ambulanti, uomini travestiti da supereroi e personaggi Disney, musica, e una babele di lingue che mi arrivavano a tratti mentre cercavo di farmi spazio tra la folla. E poi il lusso della fifth avanue, la tranquillita' quasi irreale di Central Park, la vista mozzafiato della citta' da Rockfeller Center con di fronte proprio l'Empire State building. E ancora gli spettacoli di Brodway e le foto sotto la Statua della liberta'. E dopo una giornata' cosi' intensa si trovano persino le energie per vivere la notte newyorkese: donne che stringono una pochette in equilibrio su tacchi vertiginosi e inguainate da vestiti luccicanti; uomini in camicia bianca che scavalcano la fila all'ingresso del locale piu' in voga della citta'. Hanno un tavolo in un prive'. Immagini che stridono con quelle colte di giorno, tra la gente che cammina per strada con il cappello degli Yankees, le cuffie all'orecchio, la musica rap, i jeans larghi, le ragazze in infradito in metro, i venditori di hot dog, gli studenti di corsa, le signore in autobus che si lamentano del costo alto di una corsa, ben sei dollari. Ai miei occhi NY e' una citta' che vive di corsa verso un sogno da afferrare. Quando vado a NY mi piace prendere il traghetto per Staten Island e godermi dal mare lo spettacolo della citta' che si allontana, i grattaceli  che si stagliano all'orizzonte. Qualche volta me ne vedo sul ponte di Brooklyn per rubare una foto al tramonto e godermi la sera che scende sulla citta' mentre le luci che si accendono, disegnando forme nel buio della notte. NY illuminata di notte e' una vista meravigliosa che mi mette un po' di malinconia. Penso a tutte quelle persone che corrono, corrono, e ancora corrono verso una meta il cui cammino avra' molte curve e che forse non li portera' mai a destinazione. Oppure li condurra' in una posto completamente diverso da quello immaginato. Qui il sogno di farcela sembra piu' grande delle statistiche che vogliono incatenare i sogni costringendoli alla realta', inseguendo l'onda irrazionale del "nulla e' impossibile", del “If you can dream it, you can do it”, motto dei sogni "made in Disney." E mentre vedo la citta' addormentarsi, mi sento ancora piu' straniera tra le sue strade deserte e sporche. Sento di non poterla capire fino in fondo, come il sogno americano del resto. Pero', mentre cammino verso il mio ostello e con il piede scanso una lattina vuota, mi sembrano - mai come ora - vere le parole di Camus sul mito di Sisifo: "Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo Felice."








Saturday, March 1, 2014

Telecronaca di una partita


Semifinale di Coppa Italia: Napoli - Roma. Tutti sapete come è andata a finire. Una serata emozionante per i tifosi del Napoli e gli amanti del bel calcio. Stadio gremito e tra gli spalti persino lui, Diego Armando Maradona. Cori a squarciagola e una strana magia nell’aria. La magia del riscatto. Del desiderio di sedersi almeno per una volta sul tetto del mondo attraverso un pallone che gonfia la rete e accende il San Paolo che esplode in inni di gioia: 33′ Jose Callejon. 1-0. 48′ Gonzalo Higuain. 2-0. 51′ Jorginho. 3-0. Mi sembrava di essere li’, tra quegli spalti, nelle case della gente, tra le urla di “nooo” per un goal mancato e i “goaaal” per una rete segnata. Un’emozione che ho rubato a tratti dal mio portatile, attraverso una pessima trasmissione in streaming della partita, proprio come potete vedere dalla foto che vi mando.


Immaginate quanto forte sia stata quell’onda di amore per un Napoli di nuovo grande, per arrivare fin qui, dall’altra parte dell’oceano in un nevoso pomeriggio di febbraio. Già, qui le partite - quando possiamo - le guardiamo alle tre del pomeriggio per via del fuso orario. Ovviamente non vengono trasmesse nei pub (i bar non ci sono) e bisogna arrangiarsi con internet. Alcuni dei miei amici americani non capiranno mai la mia passione per il calcio, come del resto io non potrò mai apprezzare fino in fondo il loro football e il baseball. Ci ho provato. Mi sono fatta spiegare le regole. Sono andata allo stadio. Ma la scintilla non è scoccata. Sono gli amici spagnoli, inglesi, sudamericani e turchi a condividere la passione per il calcio. Soprattutto i turchi sono amanti del calcio italiano, ma tengono quasi tutti per il Milan o l’Inter. Eppure, in un mondo tanto variegato, ho conosciuto un ragazzo americano che non solo ha una passione per la squadra del Napoli, ma ha un vero e proprio amore per la città. Kevin M. è un dottorando in Italian Studies e ci siamo conosciuti lo scorso novembre in New Jersey. Quando ha saputo che sono della provincia di Napoli  mi ha mostrato il braccialetto della squadra che porta al polso. Mi ha anche raccontato aneddoti molto divertenti. Come essere fermato per strada da turisti italiani per fare una foto quando indossa la maglietta del Napoli! Ecco, Kevin oggi ci racconterà Napoli vista da fuori: stereotipi, impressioni e ricordi.

Ciao Kevin. Innanzitutto grazie di condividere la tua esperienza con noi. Ci piacerebbe sapere che idea avevi di Napoli prima di visitarla e cosa ti ha spinto a sceglierla come meta del tuo viaggio rispetto ad altre città italiane. 

Kevin: Ciao, grazie a voi. Sono sempre contento di condividere le mie esperienze della bellissima città di Napoli. Per dire la verità, prima di andare a Napoli per la prima volta, non avevo un’idea chiara di che tipo di città fosse. Sapevo solo che si mangiava bene, per il resto avevo le impressioni che la stampa e gli altri italiani mi avevano dato: cioè che Napoli fosse una zona sporca, insomma una follia. Era proprio questa idea, che può sembrare un ritratto negativo, che mi aveva spinto a visitarla. Avevo già visitato Roma, Firenze, e Venezia tra le altre città prima di andare a Napoli, ma volevo provare una città italiana “verace”, piena di carattere e di contrasto. Una città straordinaria non è fatta solo dalla storia e dalla tradizione – di cui  Napoli è molto ricca – ma anche della vivacità e soprattutto dalla veridicità della gente. In altre parole, a Napoli c’è tanta bruttezza in mezzo a tanta bellezza. E quest’armonia, questa strana ma fluida combinazione di contraddizioni che crea una dinamica veramente unica e favolosa che o si capisce subito o non si capisce mai. 


Ci sono molti stereotipi su Napoli e i napoletani. In genere gli americani - correggimi se mi sbaglio - associano Napoli  a pizza, mandolino, pericolo e spazzatura. Quanti di questi stereotipi hai ritrovato nel tuo viaggio in città e cosa invece hai scoperto al di là di questi luoghi comuni?

K: Sì, hai ragione – questi stereotipi sono abbastanza comuni qui negli Stati Uniti. Anche in New Jersey e a New York City, che hanno grandissime comunità italo-americane, la percezione di Napoli è spesso quello che ci da’ i telegiornali e la radio. Però io direi che questo modo di pensare, anche se è sbagliato, è normale per chi non ha mai visto qualsiasi città straniera di persona. Riguardo a quanti di questi stereotipi ho trovato in giro, ti do una risposta precisa: la pizza è veramente buona, e riflette e rappresenta una tale cura e orgoglio per il mestiere che manca spesso negli Stati Uniti. Il mandolino proprio non l’ho trovato, e le canzoni tradizionali cantate in dialetto le ho sentite, ma soprattutto nelle zone turistiche. Il pericolo è una cosa sempre incompresa – cioè, ovviamente non andrei in giro da solo alle due di mattina, ma Napoli in questo non è diversa da qualsiasi altra grande città, anche dalla mia cara New York – bisogna solo essere vigili e riconoscere sempre il quartiere in cui ti trovi. Infine, quando mi sono trovato a Napoli, non ho visto troppa spazzatura. Ovviamente, il problema della spazzatura c’è  e non è una cosa positiva, ma dall’altro lato appartiene a questa bruttezza in mezzo alla bellezza che ho descritto sopra. Per essere umano è normali avere alcuni problemi, e per me Napoli è una città veramente umana. Al di là di questi stereotipi, ho trovato che i napoletani sono molto ospitali. Sono sempre accoglienti e c’è molto solidarietà tra di loro. 



Napoli e il calcio: seguivi le partite prima di venire in Italia o è una passione che ti ha travolto - se ti ha travolto - conoscendo il nostro Paese? 

K: Prima di venire in Italia seguivo solo le partite della nazionale. Più mi sono immedesimato con la cultura italiana, più ho cominciato a seguire la Serie A. Particolarmente, ho deciso per quale squadra tifare in base alle mie città preferite. Ora sono anni che tifo soprattutto per il Napoli sulle altre squadre italiane.



Qual è l’immagine, il ricordo più bello che ti porti da Napoli e quale invece vorresti cancellare?

K: Il ricordo più bello che mi porto da Napoli è la partita a cui sono andato nell’estate del 2012. Era un’amichevole tra Napoli e Sporting, una squadra portoghese, e se mi ricordo bene, Napoli ha vinto 2-0, ma l’ambiente non lo dimenticherò mai. Non ho un ricordo che vorrei cancellare. Veramente non mi viene alla mente nulla che vorrei dimenticare.



I napoletani sono famosi per la loro teatralità nel parlare e nel gesticolare. Immagino che per te sia stato molto difficile capire i napoletani all’inizio. Come è stato il tuo rapporto con la gente del posto?

K: Questa cosa l’ho riscontrata non solo nei napoletani, ma in tutti gli italiani. E’ vero che la gente del Sud è un po’ più teatrale, come hai detto tu, ma ciò non rende per niente difficile la conversazione. Purtroppo, non riesco a capire ancora il dialetto napoletano, ma ci sto provando. Mi piacerebbe molto impararlo nel futuro. Comunque non ho avuto nessun problema nel girare il paese. Come ho già detto, i napoletani sono stati molto accoglienti nella mia esperienza.


Grazie Kevin per questa chiacchierata. Ci lasci con un saluto o un’espressione in napoletano che ricordi particolarmente?

Grazie a vuoi di nuovo. Purtroppo mi vergogno di non aver imparato nessun’espressione in napoletano – solo un po’ dell’accento del Sud in generale.  Comunque ripeterò che sono sempre contento di condividere la mia esperienza positiva con la città di Napoli e la sua gente. Spero di tornarci presto.

PS: Questa lettera/intervista con Kevin è stata scritta sulla scia d'entusiasmo per la conquistata finale di Coppa Italia e prima dei malumori per i pareggi del Napoli e della partita di ritorno da batticuore con lo Swansea. Eh già, il Napoli non è una squadra per cardiopatici. Fa soffrire, e tanto. Ma poi, quando tutto sembra perduto, ecco li' un tocco magico a far decollare di nuovo i sogni di un'intera città. Insomma, una magia accesasi una notte di metà febbraio all'ombra del Vesuvio e che continua a farci urlare, seppur tra alti e bassi e a denti stretti: Forza Napoli! Anche dall'America!